Ciao lupo!
Inizia così una giornata memorabile in quel di Roncobello, gioiello orobico che ha dato i natali al sangue del sangue di Beppe, quando ancora la neve cadeva in dicembre e a fine marzo si battevano i denti per il freddo pungente.
Alle sei e mezza imbocchiamo il sentiero che attraversa il bosco alle pendici della Cima di Menna. Il ritmo è forsennato, come al solito, e in un lampo raggiungiamo la Baita dello Zoppo. Ci addentriamo tra gli alberi in direzione dell’anfiteatro di cime e a poco a poco iniziamo a sprofondare nella neve. Solo all’imbocco del canale, con i piedi ormai fradici dopo quasi un’ora di RAC (Ravanage Alpinistico Cazzuto, secondo la scala di difficoltà Ravanage), le condizioni del manto nevoso iniziano a migliorare.
Il vecchio lupo ci ha azzeccato anche stavolta!
Il canale, che si inerpica verso la cima formando un vero e proprio canyon, è in condizioni quasi perfette. Le picche mordono la neve, il respiro segue il ritmo dei passi, il cielo si spolvera di nuvole. È all’incirca a metà della via che inizio a indovinare le proporzioni delle cornici che orlano la cresta. Sembrano sfidare le leggi della fisica, lingue protese nel vuoto come balconi, adagiate sul nulla dalla potenza dei venti, come sentinelle impegnate a custodire i segreti dei pendii più alti.
Sbuchiamo sulla cresta e ci godiamo lo spettacolo, un bianco siderale impreziosito dal chiaroscuro del cielo che minaccia tempesta. Quando cominciamo la discesa inizia a frullarmi in testa una canzone dei CCCP (anche perché i milleduecento metri di dislivello si fanno sentire): “Emilia paranoica”. Ma dietro ai miei occhi colmi di meraviglia il ritornello è diverso:Orobia patagonica, orobia patagonica!Da Roncobello a Piazzatorre, da Piazzatorre a Roncobello.
Orobia patagonica!
Lungo la discesa c’è anche spazio per un esperimento di bob-alpinismo, e mi ritrovo a scivolare sul sedere come un bambino, un po’ per stemperare la fatica e un po’ perché la gioia è tanta. Ma la mattinata non è finita: c’è ancora tempo per conoscere Gianmarco, il fratello di Beppe, e per dare una sbirciata a una casa che conserva memorie di inverni interminabili.
Orobia patagonica, il freddo più pungente, pareti e rocce impervie
Consumami, innamorami, richiamami, proteggimi.
Orobia patagonica!
Stefano Galliani
