Dopo i fatti di questo ultimo giorno e mezzo non posso esimermi anche io dallo scrivere un report. Credo, altresì, che sia necessario dare un minimo di contesto al lettore.
Siamo agli sgoccioli di un giugno fresco e quanto mai instabile e piovoso, che ha pensato bene di mandare in fumo i progetti personali (ndr. Adamello) e della scuola di alpinismo nelle 2 uscite principe del corso (ndr le due giorni su ghiaccio e in ambiente). In questo periodo così travagliato la voglia di alta montagna si fa sempre più forte e presente nei miei pensieri e nell’ultimo weekend del mese delle messi avevo da tempo in mente di fare il Bernina.
Parte il giro di telefonate ai rifugi e le verifiche sui facebook/internet delle condizioni della via normale, ma non sembra emergere un quadro molto rassicurante. A ciò si aggiunge la mazzata delle previsioni meteo,nelle quali viene segnalato inequivocabilmente brutto tempo nella giornata di domenica.
Con il socio Michele (al secolo il Piatto) iniziamo a fare una serie di congetture. Tra queste è da citare sicuramente quella di provare a farlo in giornata in stile Mattia, grande personaggio del passato con cui ho spartito la partecipazione al XLV corso di alpinismo. Alla fine, riesco a far prevalere il buon senso e optiamo per spostare il nostro tentativo alla vetta il sabato. Abbiamo, però, un grosso problema, o meglio, ho un enorme impedimento chiamato lavoro (qualcuno riderà, cof cof). Inaspettatamente e contro ogni pronostico, forse spinto dalla semplicità con cui il mio socio in 5 min riesce a prendere mezza giornata di permesso, mi libero per il venerdì pomeriggio, affidando le mie sorti di promozione nelle mani del mio fide stagista.
A questo punto il gioco è fatto: spostiamo la prenotazione dal Marco e Rosa al Marinelli e giovedì sera mi organizzo per recuperare il materiale al CAI. Qui incontro il Mile che non manca di farmi sentire tutto il suo supporto, scoraggiandomi candidamente dall’impresa che tentavamo di fare.
Nonostante tutto, arriva il venerdì e alle 13:30 Mich con il suo Vito svedese sono puntuali al ritrovo. Partiamo alla volta di Campo Moro e con qualche rallentamento sulla statale dello Stelvio (Mich purtroppo non è Andre e certe manovre se le risparmia) arriviamo al parcheggio. Tempo di prepararci e mettere in spalla lo zaino e in poco tempo ci troviamo al rifugio Carate e poi al Marinelli in perfetto orario per la cena delle 19. In verità, la Diana, così sembrerebbe chiamarsi colei che gestisce il rifugio, ci fa la gentile concessione di ritardare la cena alle 19:30, dal momento che eravamo gli unici ospiti oltre ad una coppia salita in Valmalenco per mettere dislivello nelle gambe.
In un amen è già ora di preparare lo zaino e di mettersi a letto, la sveglia che ci aspetta il giorno seguente è fissata alle 2:20. Prima di passare al giorno successivo un particolare cattura la mia attenzione: il libro del rifugio. Sfogliando le pagine, noto con stupore e anche un filo di preoccupazione che solo una cordata un paio di giorni prima di noi era salita in cima al Bernina dal Marinelli. Meglio non pensarci, ormai siamo qui… Belli carichi ed in grinta ci svegliamo e iniziamo a far colazione. Una notizia ci sconvolge: 8 gradi alle 2:30 fuori dal rifugio Marinelli! Anche Michele, che di natura è una persona molto positiva, è abbastanza abbattuto. Dove crediamo di andare? Non lo so, ma decidiamo comunque di partire e vedere dove possiamo arrivare. Le prime centinaia di metri di dislivello passano velocemente, la neve non è così male come pensavamo e in poco tempo ci troviamo ai piedi del canalone di Sant’Aguzza. È ancora buio intorno, ma si vede al di sopra di una parete rocciosa imponente il rifugio Marco e Rosa. Sembra lì, appunto sembra… Attacchiamo il canale, la traccia è quella che è e la neve lo stesso. Niente rigelo notturno, però si procede. Si fa fatica, ma finalmente usciamo dal canale e ci accingiamo a continuare verso la vetta. Man mano che si procede un po’ la neve migliora e questo ci fa ritrovare un po’ di fiducia e anche un po’ di forza dopo il grande sforzo già profuso.
Io sicuramente mi sento più provato di Michele, ma arriviamo al momento della verità: si attacca la cresta. C’è un po’ di traffico, dettato dalle guide dei nostri vicini elvetici che fanno un po’ come gli pare (forse anche premonitori di quello che sarebbe successo qualche ora dopo agli europei di calcio). In ogni caso, io e Michele affrontiamo la bellissima cresta fino poco meno di un centinaio di metri (forse anche meno) dalla vetta in cui incontriamo un folto gruppo che ha deciso di calarsi sopra le nostre teste nel mentre che mi accingevo a progredire su un tratto di misto con a ruota Michele. Qui la domanda delle domande ci rimbomba in mente: cosa facciamo? Aspettiamo che scendano tutti o giriamo i tacchi e torniamo mestamente indietro a un tiro di schioppo dal traguardo? Optiamo per emulare Quinto Fabio Massimo, che, per chi non lo avesse incontrato nelle versioni di latino, è soprannominato il “Temporeggiatore” per la sua fama in guerra di saper cogliere il momento propizio, e la risolviamo divincolandoci tra gli ultimi componenti del gruppo. In poco tempo è vetta! Non si vede nulla, ma è come si vedesse tutto. Spettacolo!
Ora però ci tocca tornare indietro e questo particolare non è proprio da niente. Senza grossi patemi e rallentamenti rimettiamo piede sul ghiacciaio e in relativamente poco siamo al Marco e Rosa. Da qui inizia il nostro calvario… La discesa del canale ormai in condizioni non proprio ottimali, l’attraversamento del ghiacciaio e il rifugio Marinelli che non sbuca mai dietro l’angolo sono una prova di resistenza mentale (forse più che fisica). Ma alla fine, come in ogni uscita che si rispetti, arriva anche il nostro Marinelli e arriva un’ottima birra fresca che ha il sapore dell’avercela fatta, nonostante le condizioni non così buone come ci avevano detto i rifugisti, nonostante la lunghezza e nonostante il cinema in cresta made in Switzerland.
Si chiude in bellezza con grandi sorrisoni e la consapevolezza di aver fatto centro in una delle poche finestre di bel tempo di questo periodo. Ora possiamo, quindi, dirlo: Bernina, fermata Bernina!
Giacomino