Siamo prossimi alle vacanze estive. Si lavora ancora, chi più e chi meno, ma si respira già aria di vacanza. Prima di partire per le vacanze programmate con le relative famiglie, io e Beppe ci troviamo soli e con un po’ di tempo libero a disposizione: come impiegare il nostro tempo libero è superfluo dirlo, dato che la passione che condividiamo è molto forte, così gli butto lì un paio di giorni al Bianco. La risposta non è un vago “si, si potrebbe fare” ma una mail con un programma già definito nei minimi dettagli su pernottamenti, viaggio, relazioni di vie e tabelle di marcia degne di uno stratega militare, in pieno stile Milesi. Così accetto, studio bene le relazioni delle vie su roccia che andremo a fare, mi vedo già in punta di piedi su un granito leggendario, e immagino l’impegno che possa comportare arrampicare ad una quota come quella del Bianco. Tutto questo svanisce pochi giorni prima della partenza, una grossa perturbazione transita su tutto l’arco alpino e rovina quel meticoloso programma che nei giorni precedenti ci eravamo preparati. Ci troviamo per fare il punto della situazione e vediamo che le previsioni meteo non offrono scampi da nessuna parte: da est a ovest, dalla Valle d’Aosta alle Dolomiti le alpi sembrano avvolte in una unica immensa nuvola. Fino a quando, come un raggio di sole che perfora una nube, una illuminazione fa brillare la mente di Beppe. “Proviamo con le Alpi Marittime, al Corno Stella”. La prima cosa che guardiamo è il meteo, la situazione sembra abbastanza buona anche se il clima non sarà dei migliori, un rapido check delle vie e poi scatta la chiamata al rifugio Bozano. Da qui arriva la conferma definitiva, il posto c’è e quindi abbandoniamo ramponi e picche a favore delle più comode/scomode scarpette da arrampicata.
La partenza alle 5:30 non è delle più sconvolgenti, e dopo 4 ore di macchina alle 9:30 siamo già con gli zaini in spalla in località “Gias delle mosche” sopra le terme di Valdieri a quota 1591 mt. Il cartello indica il rifugio a 2:30 h, ma chi è mai andato in giro con Milesi sa che quei cartelli sono pura fantasia, infatti alle 10:59 varchiamo la porta del rifugio Bozano a quota 2453 mt, confermando così un altra volta il soprannome di Beep Beep. Un breve ristoro in compagnia di Marco, il gestore del rifugio che ci consiglia al meglio le ottime vie della parete: visto che siamo in anticipo sui tempi, e che la perturbazione pomeridiana sembra essere leggermente in ritardo decidiamo di arrampicare anche oggi, saliamo così l’avancorpo della parete sud-ovest del Corno Stella, per uno splendido pilastro di gneiss granitico che in 8 tiri ci conduce alla cengia mediana che taglia in 2 la parete. Un paio di calate e una breve camminata e siamo di nuovo al rifugio dove ci aspetta una ottima cena con una ottima compagnia e il meritato riposo. Il silenzio della notte è intervallato da raffiche di vento molto forti che si abbattono contro il rifugio e fanno abbassare le temperature.
La mattina dopo colazione aspettiamo che l’asticella di mercurio si alzi leggermente, dato che segna 12° e che le due cordate che sono impegnate sulla via che avevamo deciso di salire all’avancorpo avanzino nella via. Dopo mezz’ora l’asticella di mercurio è ancora ferma, esattamente come la prima delle 2 cordate che ci precedono che è incrodata esattamente allo stesso punto di prima. Un rapido consulto con Marco, il gestore del rifugio e cambiamo via in corso d’opera, partiamo già imbracati dal rifugio e giungiamo all’attacco dove risaliremo nuovamente l’avancorpo. Mancano 2 tiri alla grande cengia mediana e la situazione meteo precipita: la temperatura non è delle migliori, il vento continua a soffiare forte contro la parete e alle nostre spalle sembrano incombere delle grossi nubi nere. Comincia a gocciolare, mancano ancora 2 tiri e dico a Beppe: “ma piove?” lui risponde con un secco “shhh, non dirlo neanche” così dopo le ultime bagnate lunghezze sotto una leggera pioggia siamo di nuovo sulla cengia, stesso punto di ieri. Essere arrivati per due volte allo stesso punto senza aver scalato l’intera parete è uno smacco troppo grosso, così senza nemmeno consultarci sappiamo tutti e due cosa dobbiamo fare: procedere. La seconda via è stata scelta da Beppe, a discapito delle linee moderne di modesta difficoltà che corrono lungo la parete, la scelta è caduta sulla superclassica, la via Campia.
Attacchiamo la via e il meteo sembra voler premiare la nostra tenacia con una tregua, così alterniamo tiri su una placca super lavorata, a diedri, a traversi molto delicati, dove la chiodatura a chiodi rende il tutto più frizzante rispetto la linea sicura data dagli spit. Dopo un tiro che esce su una vena di quarzo alta tre metri che taglia in 2 quasi orizzontalmente tutta la parete, ed un ultimo tiro che ci porta fuori dalle difficoltà siamo giunti in cima alla parete, asciutti, stanchi, ma molto felici per la scelta da noi presa. Una lunga serie di calate ci riporta nel canale detritico, dove ripercorriamo lo stesso sentiero di ieri che in poco ci riporta al rifugio, ci gustiamo la nostra birra premio in compagnia del rifugista e siamo pronti a ripartire, alla volta della macchina e poi di nuovo in direzione Milano, dove una autostrada deserta ci riporta di nuovo a casa nostra.
Grazie al mio compagno di scalata per questa nuova salita, che è cominciata come un ripiego ma si è dimostrata ricca di soddisfazioni.
9-10/08/2017
Manuel P.