L’estate 2019 ormai si sta per esaurire, la partenza per le vacanze estive si avvicina ed il tempo utile per realizzare qualche salita degna di note va via via scemando. Il 2019 è stato un anno piuttosto magro "alpinisticamente" parlando, vuoi per i numerosi impegni, vuoi per gli impegni degli esami regionali appena terminati, vuoi per il meteo che non è stato dei migliori, la voglia di realizzare qualche bella salita è tanta.
Io e Gigi ci troviamo con qualche giorno libero, il meteo verso fine settimana sembra stabile e cominciamo a macinare ipotesi. Le alternative sono tante, spaziano da est a ovest su tutto l’arco alpino, ma c’è una via che nonostante sia vicina a casa ne io ne lui abbiamo ancora salito. Si tratta del Pizzo Badile, una delle cime simbolo della val Bregaglia, nonchè una della grandi pareti nord delle Alpi, uno degli “ultimi problemi delle Alpi”, ovvero le pareti che rimasero inviolate più a lungo. Il Pizzo Badile ci ha sempre attratto, ma per una logistica molto complessa che comporta la salita dal versante svizzero e il rientro da quello italiano, (col conseguente problema di avere un passaggio per la svizzera per recuperare la macchina) abbiamo sempre tralasciato. Ad aggiungere una altra complicazione è stata la frana del Cengalo del 2017, che ha causato la chiusura di tutta la val Bondasca e dei rifugi Sciora e Sasc Furä. Il rifugio Sasc Furä è stato riaperto per la stagione estiva del 2019, ma il vecchio sentiero risulta impraticabile, ed il nuovo obbliga ad un giro ben più lungo per raggiungerlo (6h dichiarate).
Ormai siamo convinti, La parete nord-est del Badile sarà la nostra meta e così giovedì notte alle ore 3:30 prima di mettermi in macchina, conoscendo il mio pollo chiamo Gigi prima di partire (che ovviamente non si era svegliato). Slittiamo quindi la partenza di 15 minuti e ci mettiamo in macchina, ognuno con la propria per raggiungere i Bagni di Masino, meta finale della nostra gita, per ripartire con una sola verso Bondo, piccolo paese della val Bregaglia posto oltre confine. Lasciamo la macchina di Gigi ai bagni, lo carico sulla mia e partiamo verso la Svizzera. Appena sale in macchina noto un certo olezzo che lo compagna, manco avesse fatto il bagno nella salsa Aioli. Dichiara la cena della sera prima a base di arrosticini e aglio vario che trasuda per tutto il viaggio fino a saturare completamente l’abitacolo della macchina. Cominciamo bene! Mentre guido in direzione Bondo un flash mi illumina la mente: “che pirla che sono, avevo preparato uno zainetto con vestiti puliti ed acqua fresca da lasciare sulla tua macchina per il rientro di domani ma mi sono dimenticato di lasciarlo ai Bagni!” Eh vabbè, non sarà mica un problema, quindi proseguiamo il nostro viaggio. Poco prima del confine, dopo aver avuto tempo di riflettere Gigi esclama: “Tu pensi di essere pirla? io avevo lo zaino con il cambio in macchina e l’ho tirato giù per metterlo sulla tua. Io sono più pirla di te!”.
La gara per chi è più fesso si è conclusa, siamo arrivati a Bondo e come da programmi alle ore 7:00 siamo in cammino sul nuovo sentiero. La nostra idea è quella di arrivare sotto il passo della Trubinasca, dove il nuovo sentiero per il Sasc Furä comincia a perdere quota, e tagliare in direzione del Badile per attaccare direttamente la parete senza dormire al rifugio. Dopo circa 3 h di cammino siamo sotto il passo della Trubinasca e la nostra idea va in frantumi: una importante bastionata rocciosa ci vieta di tagliare in direzione del Badile, siamo dunque costretti a perdere quota in direzione del rifugio per poi dover risalire puntando allo spigolo Nord.
La lunga camminata con lo zaino pieno di materiale ci ha straziato, decidiamo così di fermarci per un breve pit stop al rifugio. Circa 30 minuti di pausa e ripartiamo, le mie gambe sono completamente imballate e non collaborano più. Lo spigolo che sembra così vicino non vuole farsi raggiungere, impieghiamo altre 2 ore per raggiungere il colletto dove ci caliamo sul versante nord est del Pizzo Badile, una impressionante parete di 800 metri che precipita compatta su quello che rimane del ghiacciaio del Cengalo.
Sono le 14:30 di giovedì e ormai siamo in ballo, attacchiamo così la mitica via Cassin. Parto io, un tiro facile e siamo sotto il diedro Rébuffat, poi via con lunghi traversi da fare in conserva fino ad arrivare al primo bivacco Cassin. Qui ci scambiamo le posizioni e Gigi passa al comando della cordata, ancora qualche tiro e siamo sulla cengia mediana. Ormai sono le 19, abbiamo ancora 2 ore di luce ma la speranza di raggiungere il secondo bivacco Cassin sta via via svanendo. Decidiamo comunque di continuare, ci ricambiamo nuovamente e parto per il primo diedro, che risulta completamente fradicio. Perdo molto tempo su questo tiro e non vedo buoni posti per bivaccare, decido così di calarmi in cengia dove c’è Gigi che mi aspetta e lascio il tiro montato per la giornata successiva.
Allestiamo un piccolo bivacco sulla cengia e ci gustiamo una meritata cena con un tramonto mozzafiato. Il posto per dormire è relativamente comodo, non siamo sdraiati ma neanche troppo seduti. Dormiamo tra un boato e l’altro del Cengalo che continua a riversare frane su una zona ormai off-limits. Verso le 4 di notte comincia la processione di frontali che in partenza dal Sasc Furä si dirigono verso il Badile per attaccare le varie vie. Data la nostra posizione privilegiata decidiamo di dormire fino alle 6, facciamo colazione e alle 7 di mattina siamo di nuovo alle prese con il diedro del giorno prima. Lo risalgo e recupero Gigi in sosta che mi dice: “ci hanno già raggiunto i primi”. Io rimango sbalordito dalla velocità con cui una cordata di inglesi in un ora e mezza abbiano già scalato la prima parte della parete. Stanno dietro di noi buoni buoni per qualche tiro fino a quando gli concediamo di superarci.
Gigi scala ancora qualche lunghezza e siamo sotto gli infiniti camini terminali, grande incognita della via. Sulle relazioni abbiamo letto di tutto, camini bagnati oppure ghiacciati e inscalabili in pieno agosto. Le abbondanti pioggia dei giorni scorsi di sicuro non hanno aiutato, ci scambiamo e parto sui camini. La situazione è meglio del previsto, non sono completamente asciutti ma neanche inscalabili, 3 lunghi tiri a strisciare negli infidi camini e siamo a 2 lunghezze dallo spigolo. Ormai abbiamo perso il conto dei tiri fatti, ma dovrebbero mancarne ancora 2 allo spigolo.
Raggiunto finalmente lo spigolo Nord l’arrampicata diventa decisamente più facile, ma siamo stanchi e decidiamo di comune accordo di non proseguire in conserva, quindi continuo ancora per 4 tiri fino a raggiungere la tanto desiderata vetta. Stanchi ma felici ci godiamo un breve ristoro prima di cominciare la lunga discesa sul versante italiano che ci riporta alla macchina di Gigi, da qui ripartiamo alla volta della Svizzera per recuperare l’altra macchina e ritornare contenti a casa.
Al rientro scopro che qualche giorno prima della nostra salita correva il decennale della scomparsa di Riccardo Cassin, uomo che è riuscito a realizzare svariate prime salite su pareti rimaste per anni inviolate su tutto l’arco alpino e spedizioni extra europee nel Karakorum, Alaska e Himalaya, ma ha anche avuto la tempra di spegnere 100 candeline prima della sua scomparsa, simbolo della sua tenacia e resistenza.
Chapeau.
Manuel P.