Ciao.
Voglio raccontarvi di una bella salita, di quelle che ricordi volentieri, fatta con passione, ma soprattutto fatta con amici, quelli che ti sostengono e ti incoraggiano. Non parlerò di una nuova salita, non racconterò di una via estrema, tanto meno vi narrerò di epiche avventure. Vi scriverò di una semplice quanto normale ripetizione di una comune via, che credo molti di voi hanno salito, in un luogo molto vicino a noi, qui nel lecchese.
Per cominciare però concedetemelo, bisogna partire da molto lontano, dai primi anni novanta del secolo scorso. A quel tempo mi iscrissi ad un corso di Alpinismo presso la Scuola “Renzo Cabiati” del CAI Seregno, che ora mi ritrovo a dirigere da circa un decennio. Fu lì che conobbi una persona che in seguito sarà il mio compagno di cordata per ben ventotto anni. Con lui ho scorrazzato in lungo e in largo sulle alpi nelle belle stagioni estive come in quelle cupe e fredde, ovvero quelle invernali. Purtroppo da più di un anno Enrico ci ha lasciati.
Con lui più volte ho pianificato questa salita, ma come noi tutti sappiamo per un motivo o per un impegno improvviso le cose non vanno come vorremmo. Tanta era la voglia e il desiderio di fare questa via che ho provato a cercare in più occasioni altri compagni, ma la sorte mi ha sempre giocato picche.
C’era chi aveva già fatto la salita e non intendeva ripeterla, chi la riteneva troppo semplice, chi al contrario troppo difficile, insomma ognuno aveva le sue valide giustificazioni. Passano gli anni nel giro delle amicizie alpinistiche qualcuno molla il colpo e si da a sport aquatici, qualcun’altro si inventa lavori che lo occupano sette giorni su sette, io no non desisto: “la calma è la virtù dei forti”, bisogna saper aspettare.
Così è. Questo strano inverno 2019/2020, crea condizioni particolari tali per cui si comincia presto a salire canali di neve; già ad inizio dicembre, mi ritrovo in Piancaformia su questa bellissima ed aerea cresta con condizioni ottimali. La settimana successiva tocca al canale del Caminetto Pagani in Grignetta, anche qui le condizioni sono super. Cominciano a frullarmi per la testa strane idee, forse, magari, potrebbe, dai, insomma tutta una serie di parole sconnesse che in realtà se messe insieme nella giusta sequenza logica una sola cosa vogliono dire.
Vacanze Natalizie, navigando nella rete scopro che una montagna è al centro dei pensieri alpinistici di moltissime persone, nel giro di una settimana ci faccio visita per ben due volte, e in entrambe le occasioni, vi trovo più gente di quanta ne troverei in questi giorni in piazza del Duomo a Milano. Insomma sto Monte Alben è proprio “l’ombelico del mondo?”.
I tempi sono maturi, ora ne sono certo, quest’anno 2020, finalmente anch’io salirò la Via dell’Inglese sulla parete Fasana al Pizzo della Pieve.
Venerdì 3 gennaio, sento quegli amici con cui ultimamente mi organizzo per passare momenti di passione in montagna, inoltre anche loro tre molto legati a quella persona di cui vi ho parlato all’inizio di questo scritto. Espongo loro le mie intenzioni e subito all’unisono sale un coro di approvazione, scalare la via dell’Inglese in ricordo di Enrico.
Sabato 4 gennaio ore 5.30 parcheggio di Civate, il quartetto è pronto; zaini, picozze, ramponi, corde, un po' di ferraglia, qualche cordino, la frontale, il guscio, si sembra che ci sia proprio tutto, non manca nulla. Manuel gira la chiave, inserisce la prima e via si parte destinazione Primaluna. In mano abbiamo la relazione presa dal sito di quei mattacchioni dei “Sass Balòss”, ben fatta, precisa, puntuale, sembra quasi un bigino matematico con elencati tempi, dislivelli, deviazioni, e chi più ne ha più ne metta.
Da buoni milanesi saliamo la strada con divieto di transito per risparmiarci quell’oretta di cammino, se la sorte ci girerà le spalle saremo puniti con una bella ammenda, lo sapremo solo vivendo.
Alla luce della frontale Manuel, Beppe, Gigi e Luigi avanzano con passo veloce, in lontananza si vedono altre luci, sono tre, no quattro, o forse cinque scalatori che ci precedono, semplice, sono stati più mattinieri di noi. Ormai siamo alla base della parete, ci addobbiamo di tutto punto e intanto altri cinque alpinisti ci raggiungono, si preparano e ci faranno compagnia per tutta la salita, discesa compresa. Ora il passo si fa più lento, l’ambiente che ci circonda è favoloso; sembra incredibile, siamo a soli sessanta chilometri da Milano, ma sembra di essere in un altro mondo. Si sale, si continua a salire, ogni tanto uno sguardo in alto per vedere quanto manca, un attimo dopo uno sguardo verso il basso per vedere dove si trovano i compagni, ormai le posizioni sono definite, sono quelle di sempre, davanti sempre lui, a chiudere sempre quell’altro, siamo fatti così.
Il tempo scorre fuori dai canoni classici, a volte veloce veloce, altre volte si dilata e i secondi sembrano minuti, così senza accorgerci giungiamo alla fine della salita, qui ci aspettiamo, ci facciamo i complimenti, ci diamo delle gran strette di mano e insieme diciamo: ENRICO c’è. Un attimo un istante, ricordi, emozioni, poi via, giù per la discesa, stando attenti alle placche di ghiaccio che insidiose si celano qua e là nel canale. In men che non si dica siamo nuovamente alla macchina, per fortuna nessuna multa, ci cambiamo, assetto da turisti, per fare la sosta merenda in qualche locale tipico della Valsassina, sperando in lauti piatti saporiti.
Bene, anzi benissimo, finalmente l’Inglese lo abbiamo nel sacco, la giornata, meteorologicamente parlando è stata perfetta, per tutto il resto ognuno di noi si porterà il ricordo di una bella giornata, di una salita di soddisfazione, a prescindere dalle difficolta, dai gradi e dallo sviluppo, insomma chi vuole esser lieto sia …
Milesi Giuseppe