Non voglio raccontare i numeri, potete trovarli ovunque.
Le cinque ore di avvicinamento del primo giorno mi sono sembrate infinite, e le sei ore e mezza sul filo di cresta sono state un sogno a occhi aperti, durante il quale i concetti di tempo e di spazio sono andati perduti. I numeri sono lo strumento di un alpinismo/mondo fondato sempre di più su minuziosissime gerarchie, sul grado di difficoltà, sulla vergogna del fallimento e sulla ridicola ostentazione del risultato.
Io voglio raccontare della neve e della pietra, del vento, dell’amicizia, della libertà.
Voglio raccontare di Nicholas e di Marco, che ci hanno preceduto di un giorno e hanno avuto l’umiltà e la lucidità di rinunciare di fronte al maltempo. Una ritirata che vale come una vittoria, quando il desiderio della cima viene addomesticato e ricacciato in fondo alla gola, per tornare a casa.
Voglio raccontare di Fabio, che in cima ha pianto e ha gridato di felicità al vento che ci aggrediva e strepitava. Nello zaino ha portato formaggio a cubetti, cioccolato e un pizzico di nostalgia, che ci ha offerto a cena, quando il buio è sceso ed è arrivata l’ora di mangiare, di ascoltare e di sciogliere la lingua. Con noi ha condiviso qualche briciola di casa, il nome di suo figlio e di chi ama.
Voglio raccontare di Michele, arrivato a Lentate sul Seveso in bicicletta, sulle spalle uno zaino enorme e due piccozze d’altri tempi, pesanti come proiettili d’artiglieria. Ci ha regalato un entusiasmo da ragazzino, indomiti sorrisi, una fame da lupi e un accento diverso dalla solita tiritera. È stato un compagno di cordata forte e silenzioso, determinato. Non dimenticherò mai la gioia che gli è sbocciata sul viso a pochi passi dalla vetta, quando mi si è gettato addosso per stringermi in un abbraccio che ha lasciato la traccia indelebile dell’amicizia.
Voglio raccontare di me, ma sottovoce. È troppa la bellezza che mi ha riempito gli occhi durante la salita. Mentre sorgeva il sole a illuminare la parete e a tingere di rosa le mie orme sulla neve, mi sono commosso per la fortuna di trovarmi lì. Ma non è solo fortuna, perché è grazie agli insegnamenti di Laura, Fede, Gigi, Alberto, e di tanti altri, se ho potuto affrontare le difficoltà di un ambiente incredibile e magnifico, ma severo. Nel mio zaino c’erano riso e nocciole, nel mio cuore Cecilia e Giovanni, e dentro di me la stessa voglia di quando ero un bambino alle prime escursioni che inseguiva le orme del papà fin sopra la linea della neve.
Voglio raccontare della pietra, del vento, dell’amicizia, della libertà, di un bivacco aggrappato alla montagna e di una cresta infinita, del profumo della legna bruciata, delle coperte piene di polvere, del sapore dell’acqua lasciata a bollire per due ore su una fiamma inaspettata.
E voglio raccontare di Beppe.
È stato il primo motore dell’impresa, una fonte inesauribile di energia. È grazie a lui se ho imparato a muovermi sul ghiaccio e sulla neve, a intuire le linee da seguire durante l’attraversamento di un ghiacciaio o la risalita di un canale. È grazie a lui se sono riuscito a mettere insieme tutti gli ingredienti che servono per preparare una salita di questo genere. Io so che non smetterà di salire, ancora e ancora, finché il suo cuore continuerà a battere. Di lui ammiro molte cose, ma sopra a tutte mi sconvolge l’impressione che dà mentre scala, di poter continuare senza fine.
Cresta Signal, lunedì 29 luglio 2024, quattro amici.
