Stage 2: trasferta in territorio straniero

Giorno numero due: falesia. All'indomani di una sabato carico di adrenalina, il 46esimo corso di alpinismo si sveglia prima del sorgere del sole per prepararsi ad una nuova, travolgente avventura. Ritrovo alle ore 6:15 sotto una pioggia insistente che ci costringe ad una trasferta in territorio straniero: il Veneto (in realtà quasi Trentino).

Il viaggio trascorre serenamente, tra lunghe dormite e gare clandestine di minivan in autostrada, e dopo un paio d'ore arriviamo a destinazione. L'avvicinamento alla parete risulta più complesso del previsto, non tanto per l'impervietà del percorso (che prevedeva giusto una manciata di minuti di camminata in una dantesca selva), quanto perché non si riusciva a capire dove si fosse piazzato il gruppetto di seregnesi che, giunto prima di noi, era andato in avanscoperta. Dopo qualche telefonata ed una goliardica marcia lungo uno dei canali che costeggiano l'Adige, riemergiamo dalla macchia e ci riuniamo al nostro avamposto. Sopra di noi si erge una parete che, per quel giorno, sarà nostra alleata e fedele compagna.

Breve introduzione, altrettanto breve preparazione e siamo pronti per iniziare ad arrampicare i numerosi percorsi preparati per noi dagli istruttori. Questa volta si lavora in tre, due allievi ed un istruttore, il quale supervisiona l'operato degli inesperti arrampicatori dispensando consigli preziosi. La prima parte della giornata trascorre così: c'è chi sale e scende, c'è chi rimane a terra per fare sicura con il mitico GriGri e le sue varianti, prima di qua e poi di là, girando a rotazione tutte le varie postazioni.

Una veloce pausa merenda per recuperare le energie perdute, e gli apprendisti si gettano a capofitto nel secondo compito a loro assegnato. Esso prevede di ripercorrere, a turno, le medesime tratte testate in precedenza impugnando palline da tennis. Lo scopo dell'esercizio è di acquistare confidenza nell'appoggio del piede sulla roccia e sfavorire l'utilizzo delle mani per tirarsi su. Inevitabilmente alcune delle dispettose palline sfuggono alle dita sudate dei climbers novelli (sudore dovuto sia alla concentrazione che al il caldo sahariano del sole di mezzogiorno), e vengono inghiottite per sempre dalla fitta giungla sotto di noi. Nel frattempo, altri gruppetti di ragazzi apprendono il funzionamento del proprio baricentro, rappresentato da un sasso attaccato ad un cordino che pende dall'imbrago; altri ancora si destreggiano con nodi (sì, ancora nodi) per imparare a farsi calare in sicurezza una volta in cima alla parete. 

La giornata non può che terminare con una tappa obbligata in un bar/ristorante, lo stesso che quella mattina ci aveva traditi facendosi trovare chiuso al nostro arrivo. La seconda uscita si conclude così, tra birra, panini e un simpatico caos; ovviamente la stanchezza è grande, ma la soddisfazione lo è ancor di più.

 

Giorgia B.

07/05/2023