L’ora è buia e inclemente, come spesso accade quando si affronta l’ignoto: cinque e trenta, direzione Orobie, alla ricerca della valle ghiacciata.
Mentre Beppe si districa tra le nebbie lecchesi e bergamasche, cerco di carpire i segreti del piolet-traction. Una piccozza, due piccozze, tre pizzoccheri... Il nome della destinazione è sinistro, risuona di sacrifici pagani e di lunghi mesi senza sole: Cambrembo di Valleve, Monte Pegherolo. La leggenda vuole che qui sia stato inventato il Polaretto, e che la Strega Bianca, da ragazzina, si esercitasse nella nobile arte del Congelamento di Piccole Città. Parcheggiamo accanto a una fiammante Audi TT con tanto di alettone, giusto in tempo per vedere due sbarbati allontanarsi nella neve. Beppe li osserva di sfuggita, come un gipeto che vede in un giovane capriolo la futura carcassa. Li supereremo prima dell’attacco della goulotte, procedendo al doppio della velocità, mentre Beppe, impietoso, impartisce ripetizioni di matematica: se la somma delle vostre età equivale alla mia e la mia frequenza cardiaca è metà della vostra, quanti mesi dovranno passare prima che a voi passi l’invidia? Non conosceremo mai la risposta. Fonti autorevoli ritengono che i due siano stati deportati a Narnia a causa della lentezza e dell’incompetenza nella progressione su ghiaccio e misto. Il mio battesimo del ghiaccio è una goduria: mi imbrago al riparo di un masso, in una piazzola ricavata nella neve fresca, indosso ghette e ramponi, mi lego a Beppe (che si lega a me, ma senza imbrago - è forse parente della Strega?), poi infilo i sottoguanti, i guanti, impugno le piccozze e… Ed è una meraviglia. Forse è il freddo non troppo inclemente, forse è il bianco, forse è la sicurezza di salire da secondo, fatto sta che mi sento come un bimbo a Natale. Ogni colpo di piccozza è una scoperta (i primi passi sono incerti, e per il timore picchio come un fabbro, picconate come ne danno solo i nani nelle miniere di Moria). Dopo un po’ inizio a capire come lavorano becca e puntale, comincio a fidarmi dei ramponi, mi rilasso un poco e mi sembra di non aver mai provato nulla di più bello. Dopo il primo salto di ghiaccio non vedo l’ora di affrontarne un secondo, poi un terzo. Vorrei che la goulotte fosse una cascata senza fine. Durante la discesa, forse per assecondare il mio desiderio, le corde birichine si incastrano in una fessura e mi regalano la gioia della risalita lungo la parete ghiacciata: è la ciliegina su una torta buonissima. Oggi, grazie alla guida e alla compagnia di Beppe, ho conosciuto un nuovo modo di amare la Montagna. A proposito del Vegliardo, mentre voliamo verso valle non posso fare a meno di notare le orme lasciate poche ore prima: in confronto alla trincea costellata di buchi e affondamenti scavata dagli sbarbi (e da me, sigh!), i passi di Beppe sono due mitragliate parallele.
Egli è davvero un congiunto della Strega.
Stefano Galliani